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A.V.O… Chiamalo soltanto amore e saremmo in tanti 

AVO

Vicente Schiano promotore A.V.O – Desideriamo, anzitutto, esprimere gratitudine alle Signore dell’A.V.O., per l’attenzione e la premura che stanno manifestando verso il mondo della salute. Si sono preoccupate di inserire nelle istituzioni sanitarie il dono dell’amore, sono sempre attente alle proposte d’incontri con i professionisti della Sanità, stanno continuando la lunga tradizione di visitare i luoghi di sofferenza e di speranza. La loro presenza tra i malati, i loro familiari e gli operatori sanitari porta sempre conforto e solidarietà. I loro incontri diventano veri appuntamenti di cordialità e trasformano la ferialità del vivere momenti di festa. Donne vere. Gli insegnamenti cristiani le rendono piene di compassione e di misericordia e si prendono cura dell’uomo senza discriminazione alcuna. Consapevoli che la tutela della salute occupa un posto di rilievo tra le sfide attuali. Sentiamo sulla nostra pelle e nel nostro cuore i molteplici disagi che devono affrontare i malati, i loro familiari e gli stessi operatori nelle strutture sanitarie per la qualità del cibo, la carenza di numero del personale, le liste di attesa ancora lunghe, gli episodi della cosiddetta “malasanità”, la difficoltà di rapporti e di servizi poco umanizzanti, l’eccessiva burocrazia ancora prevalente, la filosofia dell’aspetto economico predominante nella programmazione sanitaria. Tutto questo incide nell’atmosfera ordinaria che si respira negli ambienti sanitari ed anche nella modalità di vivere sia sotto l’aspetto sociale che spirituale e religioso. Voglio però subito confidarvi che, nonostante le suddette difficoltà, il nostro ospedale offre ancora preziosissime opportunità umane di presenza rilevante come le nostre donne vere che con la capacità di instaurare relazioni positive con i medici e gli infermieri, le visite “terapeutiche” ai malati, i progetti di umanizzazione, le proposte formative. Tutto questo è fonte di speranza e di gioia per i ricoverati e per le persone di buona volontà che s’impegnano a cambiare il volto della sanità e a trasformare l’esperienza dolorosa della malattia in opportunità di crescita umana e spirituale. Mostrano totale convinzione che l’A.V.O. unitamente alla comunità cristiana presente e operante oggi nelle corsie ospedaliere costituisca un vero cantiere dove si sperimenta e si vive una comunione di corresponsabilità. Essa non vuole rinchiudersi in se stessa ma gettare ponti di comunione e di collaborazione con la comunità diocesana, le comunità parrocchiali e le numerose realtà ecclesiali. Anche noi, operatori del volontariato ospedaliero, affermiamo con certezza che: “Senza un autentico processo di umanizzazione non possiamo vivere”. Ma subito ci interroghiamo: “Come il malato vive ordinariamente? Quali aiuti possiamo offrire ai malati ricoverati? In che modo possono intervenire le persone di buona volontà per contribuire a far vivere loro in modo significativo?

“Su questi interrogativi vogliamo fare alcune osservazioni e suggerire alcune risposte che possono diventare proposte e impegno per noi cristiani singoli e come comunità. La Domenica a volte può apparire al singolo malato un giorno “vuoto” e quasi inutile per la riduzione delle presenze professionali, la sospensione delle analisi, il poco movimento in corsia, anche se la terapia ordinaria non viene totalmente sospesa, quindi la Domenica può essere percepita come giorno di solitudine e di nostalgia per i familiari lontani, quasi giorno “perso” e di ritardo al processo di guarigione, e trasformarsi in giorno di attesa della ripresa settimanale e del suo ritmo feriale. Dall’altra parte la Domenica è e può diventare giorno di festa: per la possibilità di partecipare all’Eucaristia (in chiesa o in corsia); per l’opportunità di ricevere la Santa Comunione nel proprio reparto o a letto dal Ministro Straordinario della Santa Comunione; per la maggiore libertà e distensione con i compagni di stanza; per la visita dei familiari e amici; per un pasto più gradevole; per la presenza di persone che infondono un senso di speranza e di fraternità, di condivisione e di dialogo. Le nostre due Donne vere mi hanno fatto comprendere veramente che il malato è dono per la comunità anche, pur restando sempre difficile considerare positivamente il dolore e la malattia.

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