A mia madre
Più fine che amore
Al dunque anch’io
mi affanno di domande
che sono il vento e il capitano
del mare e del vascello,
che sono penna
e sono carta,
che sono.
Io,
come nessuno
-già qui seduto
da giorni immobili-
che attende il cenno
dalle labbra aperte
oltre il languore
fisso
nei tuoi sensi.
Eri -non ieri-
profumo
immensa
siepe di coralli.
Troppi e inutili ricordi
per l’impossibile
di una lontana primavera.
Violento un mio uragano
quasi
a timore di tintinnii
di vicine campane
schizza chicchi di grandine sui vetri.
Staccasti un figlio
dall’albero
di melo biondo
di spore di speranze.
Era l’anno
del ferro e del fuoco
per Napoli
-Abele-.
Nenie e ninne nanne
tacquero per lui
matti boati di bombe.
Ora, la bocca
resa sottile dagli anni
dal male
inghiotte i suoni
perch’io non soffra.
All’ultimo soffio di pensiero
alla forza di perderti
rinasco maturo.
Mi esco
mi alzo
e nel torpore
mi spengo la luce.
21.09.1999
Bruno Mancini – Più fine che amore -Legge Don Backy