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ASSEMBLEA PERMANENTE 

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Abbiamo chiesto all’avvocato Gianpaolo Buono di illustrare la delicata questione della chiusura della sezione distaccata di ischia del tribunale di Napoli.[/Note]

CHIUSURA DEL TRIBUNALE. ISCHIA, FIGLIA DI UN DIO MINORE?

Gianpaolo Buono | Il 13 settembre 2013, con la soppressione degli uffici giudiziari cd. “minori” e delle sezioni distaccate, tra cui quella di Ischia, rappresenta una data fondamentale per la Giurisdizione in Italia, uno autentico spartiacque nella geografia giudiziaria del paese. La revisione delle circoscrizioni e la necessità di una distribuzione più idonea degli uffici sul territorio hanno caratterizzato per oltre un secolo il dibattito di politica giudiziaria, atteso che dall’unità di Italia (rectius: dal 1859) ad oggi non vi era mai stato un intervento legislativo organico che si preoccupasse di ridisegnare la geografia giudiziaria, conformemente alla struttura ed ai reali bisogni della società civile, benché il mutato quadro di infrastrutture esistente non sembrava più giustificare la frammentazione capillare degli uffici. Chiunque ambisse ad ottenere un sistema giudiziario efficiente, caratterizzato da una minore durata dei processi e da una risposta qualitativamente più elevata, attendeva da tempo la riforma in quanto “le circoscrizioni giudiziarie, delineate mediante la distribuzione capillare degli uffici sul territorio, soddisfacevano l’esigenza reale di avvicinare la giustizia al popolo e all’ufficio, ma, venute meno le difficoltà delle comunicazioni e dei trasporti ed annullate le distanze di spazio e di tempo, oggi la distribuzione capillare nel territorio degli uffici giudiziari non ha valide giustificazioni. Peraltro, la legislazione varia e multiforme, originata dall’estrema complessità della società post-industriale, rende difficilissima la conoscenza compiuta del sistema. Per la organizzazione giudiziaria ha fatto il suo tempo il criterio del medico condotto … Fuor di metafora, alla distribuzione capillare nel territorio degli uffici giudiziari, si collega, inevitabilmente, una figura di giudice che non si avvantaggia della divisione del lavoro: quindi, che riesce a sapere qualcosa di tutto, ma che raramente sa tutto su una cosa. Dunque, non un professionista moderno: non un tecnico del diritto, che conosce a fondo la sua materia ed è in grado di reggere il confronto e la dialettica con gli agguerriti esponenti del foro e delle università” (C.S.M., seduta del 1991). Gli obiettivi prefissati erano quelli della dimensione ottimale degli uffici (con eliminazione di quelli con un organico inferiore ad 80 unità), della massima efficienza e della riduzione della spesa. La legge che ha delegato al Governo la scelta degli uffici giudiziari da lasciare in vita o da sopprimere, tentando di contemperare una serie di interessi, non sempre tra loro convergenti, aveva imposto il rispetto di taluni irrinunciabili principi, come quello della “specificità territoriale”. Questo significava che il Governo avrebbe potuto disporre la soppressione di un ufficio, accorpandolo ad altra sede, sempre che non vi fossero oggettive ragioni che lo impedissero. La condizione dei territori disagiati per ragioni geografiche o isolati per mancanza di adeguati collegamenti rappresenta un profilo di grande importanza, che se non adeguatamente analizzato, non consente di cogliere a pieno la portata della riforma. L’isola d’Ischia, per fare un esempio calzante, dista dalla terraferma oltre 18 miglia marine. La incertezza e la inadeguatezza dei collegamenti marittimi, acuite, ultimamente, dalla privatizzazione della unica società di trasporto pubblica, le frequenti sospensioni dei collegamenti marittimi durante la stagione invernale, la onerosità della trasferta, il consistente contenzioso civile e penale (al punto che qualche anno fa, un autorevole quotidiano economico, il Sole 24 Ore, indicava la Pretura di Ischia come l’ufficio giudiziario nazionale con il più elevato contenzioso in rapporto alla densità abitativa), la presenza di centinaia di disabili che quotidianamente si rivolgono al giudice tutelare per i motivi più vari, consentono di comprendere come alcuni territori, se non considerati per la loro specificità geografica, sarebbero privati completamente del diritto alla giurisdizione, con tutte le intuibili conseguenze che ne potrebbero derivare. In linea con le previsioni della legge delega, la soppressione di un ufficio giudiziario minore situato in terraferma, distante solo qualche chilometro da quello accorpante (in Campania, ad esempio, Portici o Pozzuoli, i cui uffici erano sistemati in edifici distanti solo qualche chilometro da quello di Napoli), non può essere equiparata a quello di una isola così lontana come Ischia. La battaglia che si sta conducendo tende a far comprendere al Ministro della Giustizia che l’esercizio della delega (non ancora esaurita) nella attuazione della riforma della geografia giudiziaria prevede che, nel rispetto del principio di uguaglianza, non si possano, indiscriminatamente, spazzare via tutti gli uffici giudiziari minori, ma che vadano fatti dei doverosi distinguo, eliminando i “rami secchi”, che comportano oneri per lo Stato ed il cui mantenimento in vita sia escluso dalla vicinanza all’ufficio accorpante, e lasciando quelli che non comportano aggravi di spesa e che, in ragione della ubicazione, rappresentano presidi di legalità irrinunciabili, pena la definitiva compressione del diritto costituzionale alla giurisdizione delle popolazioni locali. Lo Stato per territori come quello dell’isola d’Ischia non ha la possibilità di applicare i principi sulla “dimensione ottimale” e sulla “massima efficienza” stabiliti per uffici ubicati in terraferma, pena la sottrazione ai cittadini di questi territori di un diritto sacrosanto ed inviolabile. Solo in via esemplificativa, si evidenzia che, nel caso di Ischia, costi per lo Stato non ve ne sono o sono talmente esigui da non dover neanche essere presi in esame (il Palazzo di Giustizia è stato messo a disposizione dal comune di Ischia a titolo gratuito; quello di Pozzuoli, per fare un esempio, è costato allo Stato annualmente circa un milione di euro). Non sono stati considerati, inoltre, gli ulteriori, sconvolgenti effetti che il trasferimento della ex organizzazione giudiziaria in terraferma comporterebbe per il funzionamento delle pubbliche amministrazioni. La necessità di assicurare la presenza nel tribunale partenopeo, come testimoni, di funzionari e dipendenti pubblici determinerà lo svuotamento delle Stazioni dei Carabinieri, del Commissariato, degli Uffici di Polizia municipale ed amministrativi in genere (uffici tecnici, ecc.) e, quindi, la impossibilità di garantire l’ordine pubblico sul territorio isolano, oltre la totale paralisi della attività amministrativa. Il malcontento della popolazione locale originerebbe imponderabili conseguenze legate alla mancata tempestiva evasione delle domande giudiziarie, con il possibile ricorso alla autotutela (sistema, quella della “legge del più forte”, molto diffuso, anche sull’isola, in passato). Frustrando le finalità della riforma, la soppressione della Sezione distaccata di Ischia del Tribunale produrrebbe un rilevantissimo aumento della spesa complessiva per lo Stato e per gli Enti locali (i costi di trasferta saranno gravosissimi per le già esauste casse comunali; quelli di notificazione a carico dello Stato – cause di lavoro, penali e di volontaria giurisdizione – saranno anche 15 volte maggiori di quelli attuali) ed un parte della popolazione (disabili e ceti meno abbienti) sarà definitivamente privata della possibilità di accedere alla Giurisdizione e la restante potrà accedervi solo a condizioni particolarmente gravose. Purtroppo, fin qui il Ministro è stato sordo ad ogni sollecitazione, dimostrando una intransigenza del tutto ingiustificata, indice di arroganza, ignoranza (degli aspetti più particolari) e mancanza di capacità nel fronteggiare la intera problematica della geografia giudiziaria. E’ triste dover constatare la insensibilità delle Istituzioni! La soppressione dell’ufficio giudiziario ischitano avrà, inevitabilmente, ricadute negative anche sul tessuto economico, sociale e politico-amministrativo della intera isola. Ritornando agli aspetti più spiccioli, la conseguenza più immediata sarebbe legata ai costi di una causa. Nella maggiore parte, il ricorso al giudice costituisce una scelta inevitabile; si consideri il caso di un vicino che, prevaricando i diritti del confinante, occupi parte del suo fondo. Quale la possibilità di ottenere il riconoscimento dei propri diritti se non ricorrendo al giudice ? La celebrazione di una causa impone una prima dolorosa gabella, costituita dal contributo unificato, che può arrivare anche a più di un migliaio di euro; quasi sempre è necessario escutere più testimoni per ogni parte. Il quadro è drammatico per l’inerme cittadino, soprattutto quello meno abbiente, già duramente provato dalla crisi economica: la sua scelta è tra la aspirazione, legittima, ad ottenere la tutela dei propri diritti e la consapevolezza di dover soccombere, per impossibilità di far fronte ai costi proibitivi della “Giustizia”. L’esempio fatto dà contezza immediata dei riflessi sulla condizione del cittadino ischitano derivanti dalla soppressione del tribunale: ai costi ordinari si assommerebbero quelli proibitivi della trasferta in terraferma, per sé, testimoni, consulenti, ecc.. Ci troveremmo in presenza di un diritto, quello alla difesa, calmierato su base censuaria: chi avrà i soldi potrà ricorrere al giudice, chi non li avrà sarà tenuto a soccombere. E’ questo ciò che prevede la Costituzione ? E’ questa una condizione accettabile in uno stato che si professa civile ? O forse il diritto alla giurisdizione va garantito a tutti, indipendentemente dal reddito o dal gradino che occupa nella scala sociale ? La isola d’Ischia, con le quasi 500 strutture recettive, rappresenta una delle realtà, sul piano ecomomico, più importanti a livello nazionale; non a caso, la sua popolazione contribuisce nella misura di oltre 1/3 al prodotto interno lordo turistico della intera regione. Il tribunale, al pari dell’ospedale e delle scuole, rappresenta, anche simbolicamente, un presidio fondamentale ed irrinunciabile per il territorio e per la intera comunità. Per questo, la battaglia per il mantenimento dell’ufficio giudiziario, insieme a quello per la salvaguardia dell’ospedale, dei trasporti, delle scuole, ecc., dovrà essere combattuta da ogni ischitano che tenga realmente a cuore le sorti del proprio paese. E’ arrivato il momento in cui ogni cittadino si riappropri delle sue prerogative, scendendo in piazza e dimostrando che lo Stato non è legittimato ad effettuare discriminazioni tra cittadini isolani e quelli della terraferma e che quelli alla difesa, alla mobilità, alla istruzione, alla salute, ecc. rappresentano diritti insopprimibili. La possibilità che l’isola d’Ischia non venga scippata del suo unico presidio di legalità dipende solo dalla coscienza che ogni ischitano avrà di comprenderne la essenzialità per la convivenza sociale e dalla capacità di tradurre la sua contrarietà in gesti ed azioni quanto più incisivi possibili. Ischia non è figlia di un Dio minore !

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