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Bocciata in prima elementare: condannata la scuola 

Pubblicata la motivazione della sentenza. La scuola condannata a risarcire la famiglia e pagare le spese processuali

Sembra davvero senza fine la vicenda della giovanissima isolana, A.D.C., che lo scorso anno fu bocciata in prima elementare. Dopo quasi un anno dalla vicenda, il Tribunale ha pubblicato la sentenza che vede la scuola soccombente nel giudizio e condannata a pagare 1000 euro per le spese processuali. Ricordiamo che i genitori della piccola A.D.C. dopo essere venuti a conoscenza della bocciatura della loro figlia (una notizia che fece il giro del mondo), decisero di fare ricorso rivolgendosi all’avvocato Bruno Molinaro che li ha seguiti lungo tutto l’iter, fino alla vittoria di allora (la bimba fu promossa dal Tribunale ed ha frequentato la seconda elementare, poi promossa in terza) e alla sentenza di questi giorni. I giudizi, in estrema sintesi, hanno condannato la scuola in quanto “è compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, sulla base dei protocolli regionali di cui all’articolo 7, comma 1. L’esito di tali attività non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA”. In altre parole, se uno studente ha problemi di apprendimento, la sua cura non può essere delegate solo alla famiglia, ma deve essere concertata anche attraverso la scuola. Tutto questo nella vicenda di A.D.C. non è evidentemente accaduto.

La sentenza così è motivata:

«Il positivo giudizio conseguito nei due quadrimestri di frequenza della classe seconda primaria dalla scolara, con la conseguente ammissione alla classe terza, infatti, è successivo e si sovrappone a quello negativo formulato dal Consiglio di classe alla fine della frequenza della classe prima, e ne legittima la prosecuzione nel percorso scolastico.

Tale giudizio, invero, non consegue meccanicamente dalla ammissione cautelare con riserva alla classe seconda dell’alunna (che ha avuto il solo effetto di evitare a quest’ultima il pregiudizio che sarebbe derivato dalla mancata ammissione nel tempo necessario alla definizione del processo nel merito), ma – come emerge dagli atti di causa – risulta effetto di ponderate valutazioni svolte nel corso dell’intero anno scolastico 2011\2012 (espresse nel citato Documento di valutazione), nel quale la discente ha fruito degli ausili legati ai suoi disturbi specifici dell’apprendimento, ed ha conseguito votazione di sufficienza in tutte le materie di studio.

Le spese di lite, regolate secondo il criterio della soccombenza virtuale, seguono la soccombenza nel rapporto tra parte ricorrente e Amministrazione scolastica, mentre la peculiarità della controversia induce alla loro integrale compensazione fra le parti private.

La virtuale soccombenza dell’Amministrazione deriva dalle seguenti considerazioni.

L’art. 3 della legge n. 170 del 2010 (Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico) dispone che “La diagnosi dei DSA e’ effettuata nell’ambito dei trattamenti specialistici già assicurati dal Servizio sanitario nazionale a legislazione vigente ed è comunicata dalla famiglia alla scuola di appartenenza dello studente. Le regioni nel cui territorio non sia possibile effettuare la diagnosi nell’ambito dei trattamenti specialistici erogati dal Servizio sanitario nazionale possono prevedere, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, che la medesima diagnosi sia effettuata da specialisti o strutture accreditate.

Per gli studenti che, nonostante adeguate attività di recupero didattico mirato, presentano persistenti difficoltà, la scuola trasmette apposita comunicazione alla famiglia.”

Se tale ultimo inciso normativo pare rimandare alla famiglia il compito di attivarsi per aggirare il disturbo in questione, il comma terzo, invece, non manca di affermare, con disposizione di principio, che “E’ compito delle scuole di ogni ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia, attivare, previa apposita comunicazione alle famiglie interessate, interventi tempestivi, idonei ad individuare i casi sospetti di DSA degli studenti, sulla base dei protocolli regionali di cui all’articolo 7, comma 1. L’esito di tali attivita’ non costituisce, comunque, una diagnosi di DSA”.

E’ quindi evidente che, data la natura degli interventi descritti dalla norma (i quali attuano il diritto all’educazione ed all’istruzione dei minori, costituzionalmente garantito), ove la Scuola sospetti un disturbo specifico dell’apprendimento a carico di un discente deve senz’altro attivarsi al fine di suscitare la relativa diagnosi che, se confermativa, costituisce il presupposto per l’attivazione dei rimedi di cui parla il successivo articolo 5, i quali sono stati reputati dal legislatore idonei a garantire l’apprendimento con metodi alternativi a quelli tradizionali ai minori affetti dai disturbi in questione.

Non convince, pertanto, la prospettazione dell’Amministrazione e della interveniente, secondo la quale la Scuola – pacificamente consapevole dei disturbi da cui è affetta la scolara, almeno a livello percettivo, salva la successiva diagnosi- non avrebbe potuto, né dovuto, attendere passivamente che fosse la famiglia a richiedere la detta diagnosi, posto che l’Istituzione scolastica statale deve garantire, essa per prima, il diritto all’istruzione ai discenti in qualunque situazione di apprendimento essi si trovino.

Altro è, ovviamente, il concreto esercizio di tale diritto da parte dei discenti e delle rispettive famiglie, che però costituisce necessariamente un posterius rispetto alla effettiva possibilità di avvalersene garantita dallo Stato.

Non può, nel caso in esame, indurre a una diversa opinione neppure il fatto che, nel corso dell’anno scolastico 2010\2011 la famiglia della scolara in epigrafe avesse presentato alla Scuola una generica certificazione di corretto sviluppo psico-motorio della bambina.

E’ infatti evidente l’irrilevanza di tale –peraltro assai generica- affermazione, che non rileva come specifica diagnosi di assenza di disturbo specifico nell’apprendimento, che, come chiarito dall’art. 1 della legge n. 170 del 2010, non costituisce una patologia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta) dichiara improcedibile il ricorso in epigrafe.

Condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese di lite verso i ricorrenti, che forfetariamente liquida in euro 1.000,00 (mille\00) oltre IVA e CPA e contributo unificato se dovuto. Compensa le spese tra ricorrenti ed intervenuta.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa».

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