l'informazione ispirata ai valori del giornalismo di Domenico Di Meglio|sabato, maggio 7, 2016
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“E ‘ffiglióle” e i valori di una volta 

davide

Una giornata di dressaggio cani sulle quaglie selvatiche, un’occasione per restare a contatto con questi fedeli ausiliari, con persone care e, soprattutto, staccando la spina (e il cellulare) da una quotidianità sempre più frenetica, godendo -ringraziando il Signore- di paesaggi naturali ancora incontaminati, a confine tra la Campania e la Lucania, alla vigilia di Ferragosto.

Queste prime trecentosettantotto battute, spazi inclusi, basterebbero quale epitome di una delle mie tante rapide escursioni filo-venatorie, ma non certo per quella di ieri. Sì, ieri c’è stato qualcosa di più, un “coronamento” che va molto oltre il semplice happening gastronomico.

Di ritorno da Calitri, il mio fraterno amico Giovanni (uomo d’altri tempi e gran cultore dell’attività di Diana) ha preteso che Papu (inimitabile suocero ormai ottuagenario ma dal fisico e l’entusiasmo di un guagliunciello) ed io ci fermassimo a casa sua per il pranzo, prima di rientrare ad Ischia. Era una sosta, per così dire, programmata, perché non avendo la solita “neve in tasca” per la corsa al primo traghetto utile, avremmo potuto restare insieme a banchettare con calma, assaporando gli inimitabili manicaretti della sua consorte Annamaria.

Ebbene, una volta a casa di Giovanni, Papu ed io abbiamo assistito ad uno spettacolo d’altri tempi, una situazione familiare e parafamiliare che oggi mi va di raccontarVi, pur dilungandomi più del solito.

Annamaria, al nostro arrivo, era –manco a dirlo – ai fornelli, intenta a preparare le basi di quello che sarebbe stato il pranzo luculliano che, di lì a poco, avremmo consumato nella loro cucina estiva, una sorta di veranda molto ben attrezzata dove i fornelli e l’angolo lavoro della chef troneggiano su uno splendido tavolo di rovere massello e su un trionfo di pietra viva. Una vera e propria foresteria, quella dei miei amici, con tanto di camera e bagno per gli ospiti, ideale per ritemprarti dopo aver percorso in un andirivieni quasi instancabile quelle montagne, ma soprattutto dopo aver dormito meno di due ore, prima di imbarcarti sulla nave delle 2.30 e raggiungere in tempo l’ambita destinazione.

Intorno ad Annamaria, proprio come i pulcini attorno alla chioccia, c’erano tre splendide ragazze: Paola, Angela e Antonella, promesse spose dei suoi tre figli maschi; quelle che, affettuosamente, la futura suocera chiama, insieme al marito, e ‘ffiglióle: l’accento acuto non è casuale, perché la O, nel caso specifico, va letta alla pugliese. Le tre giovani fidanzatine, in ogni caso, non si sono mosse un attimo dai posti di combattimento, coadiuvando Annamaria in tutto e per tutto, con aria tutt’altro che seccata, dalla preparazione alla mise en place, dal servizio al lavaggio stoviglie, questo senza minimamente privarsi del piacere della tavola, della compagnia e della conversazione. Giovanni, rigorosamente seduto a capotavola con noi accanto, osservava soddisfatto questa scena che, probabilmente, per lui non era nuova e di cui, insieme a Umberto, Carmine e Gianluca, andava giustamente fiero.

Quanto al cibo, beh, che Ve lo dico a fare… Abbiamo cominciato alla napoletana, cioè secondo la regola che l’antipasto rovina l’appetito sul primo (Peppe Brandi docet). Quindi, spaghetti al dente al sugo di quaglia, quaglie e beccacce al sugo, frittata con punte di asparagi selvatici e salsiccia di maiale home made, funghi porcini e peperoni verdi fritti, melanzane arrostite, tre diversi tipi di caciocavallo del Gargano, trionfo di frutta fresca del giardino di casa (anguria a parte), un ottimo babà dell’amico Don Mario (sopraggiunto in corso d’opera) e tanto, tanto ottimo vino sia bianco che rosso, prodotto direttamente da Giovanni e suo fratello Antonio, di cui ho dovuto privarmi in funzione della prevista guida per far rientro a casa.

Nel corso del pranzo, durato ininterrottamente dalle 12.30 alle 15.30, si sono in diverse riprese uniti alla nostra tavola, oltre a Don Mario e i suoi babà, anche altri due amici, Mario e Felice (quest’ultimo, inguaribile kurzhaarista), che in modi e momenti diversi non hanno potuto resistere all’invito sincero e pressante di Giovanni a gustare alcune delle specialità che, rigorosamente “espresso”, arrivavano a tavola ad opera di Annamaria, che sembrava sfornarle a ripetizione come dal cilindro di un mago. Come dire, se questa non è condivisione totale…

Concludo! Oltre la mera cronaca di una giornata splendida in casa di amici, Papu ed io riflettevamo sull’aver riscoperto, grazie a Giovanni e i suoi cari, in un’atmosfera che sa un po’ di ancestrale patriarcalità ma che trabocca di genuina amicizia, quel culto dell’ospitalità e della famiglia che è stato alla base dell’evoluzione di Ischia turistica e che purtroppo, per certi versi, sono in tanti qui da noi ad aver dimenticato. Prima della repentina evoluzione di quella che oggi è la meta numero uno dell’ospitalità in Campania, era fin troppo facile per un furastiero passare davanti a un’umile casa ischitana o a una semplice cantina e sentirsi letteralmente trascinato (invitato non basta) a diventare parte integrante del pranzo di famiglia, o dell’assaggio del vino nuovo direttamente dalla botte, con tutti i membri del “clan” a gravitargli intorno. E oggi? Oggi, nella maggior parte dei casi, il “grasso al cuore” non ci aiuta, anzi… ci sgarrùpa e non poco! Eppure, ieri eravamo a una cinquantina di chilometri da Ischia, non in capo al mondo.

Grazie, amici La Marca, per questo splendido deja-vu, che insegna ai più attenti quanto sia importante conservare intatti certi valori di cui, da sempre, andiamo fieri!

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