l'informazione ispirata ai valori del giornalismo di Domenico Di Meglio|sabato, aprile 30, 2016
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L’Italia e il prezzo del cambiamento 

davide

Dove va l’Italia? Non certo nella direzione giusta, a mio parere. Se da un lato sembriamo aver imboccato la strada della ripresa, dall’altra sono una miriade di gravi contraddizioni, da destra quanto da sinistra, ad attanagliare la risalita della china che tutti, ma proprio tutti, stiamo aspettando con ansia e, con tutta probabilità, con ormai scarsissime risorse disponibili da mettere intanto in gioco per la mera quotidianità.

Trovo assurdo, da parte mia, che debba essere la decadenza di Berlusconi l’ago della bilancia dell’attuale indirizzo economico e politico del nostro Paese; trovo assurdo che il Partito Democratico, senz’altro a capo della schiera di giustizialisti anti-berlusconiani, intenda continuare a governare con il PdL ma senza rinunciare all’obiettivo-principe di eliminare a tutti i costi dalla scena politica l’avversario di sempre; trovo assurdo che il centrodestra pensi di rifugiarsi in un processo meramente nostalgico (Forza Italia 2.0) che, in concreto, non mostra alcuna disponibilità ad innovare il progetto politico del centrodestra (ammesso che ci sia stato sinora) e lasciar scaturire una classe dirigente che parta dal basso ma che, soprattutto, si apra alle esigenze reali del territorio; trovo assurdo che una forza politica di governo come il PD denunci la totale diversità dal suo alleato, che taccia di irresponsabilità e impresentabilità, ma non possa distaccarsene fin quando non avrà la certezza di recarsi a nuove elezioni con un re travicello che,pur vincendo, non faccia danni all’interno del partito e possa essere agevolmente manipolato, una volta al governo del Paese; trovo assurdo che ancora oggi, a quasi vent’anni dalla nascita di Forza Italia, chi non si identifica nelle posizioni del centrosinistra debba essere ancorato gioco forza alla figura di Silvio Berlusconi solo perché, per precisa volontà di una classe dirigente troppo impegnata alla protezione della poltrona, mai si è voluto identificare concretamente la figura di un nuovo leader.

Potrei continuare da qui a molte, molte altre righe di scrittura, ma non servirebbe granché. Il sistema-Italia, a cui in tanti hanno attinto per anni prosciugando interamente ogni ricchezza disponibile, deve finalmente orientarsi ad un ormai inderogabile interesse collettivo. E questo tipo di obiettivo, tutt’altro che retorico e ancorché difficile da inculcare nella mente perversa di chi, ad ogni livello, è abituato a pensare prevalentemente ai cavolacci propri, può essere perseguito -sia sul piano locale che su quello nazionale- esclusivamente tramutando i soliti affaristi (o, se preferite, gli amministratori incompetenti catapultati con somma imprudenza dall’elettore ai posti di comando) in persone responsabili e noncuranti né del rinnovo del loro mandato a tutti i costi, né di prestigiose carriere personali che nulla di buono portano alla nostra provatissima collettività.

la pira

Si parla spesso di “laicità della politica” e, per certi versi, può essere senz’altro un concetto rispettabile e condivisibile. Certo è che oggi, a distanza di oltre un secolo dalla sua nascita, la figura di Giorgio La Pira (Servo di Dio, già Sindaco di Firenze, Deputato e uomo di Governo) ci dimostra quanto sia possibile per un politico, anche sulla base dell’esperienza cristiana, diventare esempio unico di impegno morale e intellettuale per un’azione concreta a sostegno dei bisogni essenziali e primari della persona.

Provate a dare uno sguardo all’opinione di Giuseppe Vettori su “Testimonianze, o comunque spendete qualche minuto del Vostro tempo a scoprire con una piccola ricerca la grande attualità del messaggio di La Pira. Personalmente, rabbrividisco al pensiero che le sorti del nostro Paese siano affidate nelle mani di persone che con la nostra stessa “complicità elettorale” e senza alcuna distinzione di colore politico, ormai da decenni ci hanno condotto alla deriva. Del resto è verissimo che la morale (proprio come la solidarietà) non si predica ma si pratica; ma una volta toccato il fondo qualcosa dovrà pur cambiare.

A proposito. E noi, a cosa siamo pronti a rinunciare per “cambiare”? O, come sono convinto da tempo, questo “cambiamento” nessuno lo vuole?

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