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Massimo Coppa: “Addio al Picconatore, il mio ricordo personale” 

FRANCESCO COSSIGA

link al post originale: http://blog.libero.it/massimocoppa/9166867.html

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OBITUARY
Si è spento Francesco Cossiga: una vita tra luci ed ombre
ADDIO AL PICCONATORE, IL MIO RICORDO PERSONALE
La situazione di Francesco Cossiga è apparsa subito molto seria quando, qualche giorno fa, il senatore a vita è stato ricoverato in ospedale.

Tuttavia era parso che, anche stavolta, il vecchio “Picconatore” ce la potesse fare. Invece si è spento ad 82 anni: fino alla fine è stato sempre lucidissimo. Si potrebbe ben dire che il suo fisico, sempre più fiaccato dagli acciacchi, non è andato di pari passo con la sua mente.

Cossiga è stato un personaggio a tutto tondo, sempre pronto a far parlare di sé, nel bene e nel male. Imprevedibile, sfacciato, forse anche narciso, con lui si aveva l’impressione che avesse di mira, in realtà, solo la soddisfazione del proprio piacere intellettuale.

Ho un ricordo personale molto forte dello statista sardo. Quando era presidente della Repubblica venne ad Ischia in visita privata. Era piena estate ed io venni letteralmente catapultato dal direttore del quotidiano locale ad incontrarlo. Ero poco più che un ragazzo, ma seguivo la politica nazionale da quando avevo quindici anni e conoscevo il personaggio.

“Mani Pulite” cominciava ad infuriare, ed in quel momento si veniva da una tale palude di malgoverno e latrocinii che sembrava più che giusto sfasciare la partitocrazia a colpi di manette.

Il presidente venne accompagnato, dallo stato maggiore della Democrazia Cristiana locale (sindaco in testa), al più elegante bar di Ischia. Riuscii ad intrufolarmi ed avvicinarmi. Fu gentilissimo e rispose di buon grado alle mie domande. Avevo con me un piccolo registratore audio a mini-cassette: un modello nuovissimo che, con mio imbarazzo e sorpresa, volle a tutti i costi vedere, privandomi quindi dell’utilizzo di questo strumento di lavoro. Scoprii poi che era un appassionato di elettronica ed un radioamatore, e questo è sempre rimasto il suo hobby preferito.

Io continuavo a domandargli cosa volesse fare, come volesse comportarsi con un Parlamento decimato dagli avvisi di garanzia, con una magistratura che scopriva sempre nuove porcherie. Egli, allora, a bruciapelo, mi domandò: “Lei cosa mi consiglierebbe di fare?”. E io, impudente ed estremista (beata gioventù!): “Presidente, io li farei arrestare tutti”. I maggiorenti democristiani intorno impallidirono e mi squadrarono con disprezzo. Pensai di aver esagerato ma lui, perdonando la mia giovinezza, sorrise maliziosamente e disse: “Ma lei mi suggerisce un colpo di Stato!”.

Ricordo poi diverse note di colore che danno la misura dell’ironia del personaggio, ma anche di come possa essere provinciale un piccolo paese e la sua classe politica. I notabili DC volevano a tutti i costi offrirgli qualcosa: “Presidente, che prende? Una bibita fresca, un aperitivo, un gelato?”. E lui: “No, io prendo un tè caldo: perché d’estate bisogna bere cose calde, e d’inverno fredde”. E quei paraculi dei politici ischitani annuirono forsennatamente: “Vero, giusto, ha ragione” e, subito dopo, rivolti ai camerieri: “Io prendo un Martini”, “Io un gelato alla crema”, “Per me una limonata, mi raccomando ghiacciata”…

Poi venne accompagnato a visitare il Castello Aragonese, il più caratteristico monumento ischitano: un’antica fortezza spagnola arroccata su un isolotto collegato all’isola da un pontile. Volle assolutamente salire a piedi fino al Castello, senza usare l’ascensore: e vi assicuro che è un’impresa che stremerebbe chiunque. Ma lui, non più giovane, fece il ripidissimo percorso di slancio e senza affanno. Per rispetto tutti lo seguimmo a piedi: il codazzo di politici locali attorno, la sua segreteria, le forze dell’ordine e, per finire, i “ragazzi” della stampa, i fotografi e le televisioni (ed all’epoca le telecamere erano belle grosse, e pesanti).

Fummo ben presto tutti stanchissimi, ma lui non se ne dava per inteso. Ad un certo punto gli si fece notare quanto fosse gagliardo, e lui commentò: “Io sono un montanaro”. Il sindaco di Ischia, commettendo candidamente una gaffe enorme (di cui non si rese conto fin quando non la sottolineai sul giornale), commentò di rimando: “Eh, presidente, si vede…”.

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Due sono state indubbiamente le fasi della sua vita per cui la storia dell’Italia repubblicana lo ricorderà: era ministro dell’Interno (odiatissimo dai manifestanti di sinistra, che lo appellavano “Kossiga”, con la “K” e le “SS” in stile grafico nazista) durante il rapimento di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse, in un periodo assai buio per il nostro Paese. Era il responsabile politico di un’enorme organizzazione di polizia che, però, non fu in grado o non volle ritrovare lo statista democristiano. Si scoprì, poi, che il comitato di crisi che seguiva gli eventi era totalmente inquinato da appartenenti alla loggia massonica deviata P2. Inoltre tutta la Democrazia Cristiana, con l’esplicito supporto del Partito Comunista, aveva deciso per la linea della fermezza e del “no” alla trattativa (atteggiamento poi immediatamente abbandonato quando fu rapito Ciro Cirillo), e Cossiga si fece disciplinatamente interprete di questa impostazione.

Quando il corpo di Moro fu fatto ritrovare dalle BR, Cossiga si dimise. Fu un bel gesto, ed anche giusto, perché così deve comportarsi il vertice di un’istituzione che fallisce totalmente. Peraltro gli anni ci hanno dimostrato che furono dimissioni isolate, precedute da pochissimi altri esempi prima e dopo.

L’altro momento topico della vita politica di Cossiga fu l’elezione a presidente della Repubblica. Ricordo bene come andarono i primi cinque anni della sua presidenza; per dir meglio, ricordo come andarono gli ultimi due. Per un lustro l’inquilino del Quirinale fu poco più che un notaio: silenzioso, addirittura evanescente. Ricordo un vignettista (credo fosse Giannelli) che lo raffigurava piccolo piccolo, occhieggiare da una finestra con persiane enormi, a sottolineare appunto l’apparente squilibrio fra l’importanza teorica della carica e la pochezza apparente di chi la ricopriva.

Poi, improvvisamente, a due anni dalla fine del mandato, cominciò a “picconare” (da qui il soprannome che non lo abbandonerà più) la cosiddetta Prima Repubblica, esternando ad ogni pie’ sospinto e fortemente, al punto che nemmeno sembrava più il capo dello Stato.

Gli anni successivi lo hanno visto ingrigire, ma sempre capace di piazzare zampate sorprendenti e sempre caratterizzato dal gusto per la battuta sapida e spregiudicata: con lui un giornalista trovava sempre una notizia, fosse anche una sua dichiarazione pepata contro qualcuno. Tuttavia, politicamente, divenne una sorta di stampella per tutti i berlusconismi e questo, di certo, si somma alle tante ombre della sua lunghissima vita politica.
In pratica non concordavo con alcuna azione di Cossiga da anni: e ciò nonostante mi mancherà.

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