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Mons. Strofaldi, un Vescovo e un “ischitano” atipico 

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Lello Montuori | Con il Vescovo emerito Mons. Filippo Strofaldi, lascia per sempre la nostra isola un uomo che era venuto “a vivere con noi” come disse nella sua omelia il 14 febbraio del 1998 in occasione del suo acclamato ingresso nella Diocesi di Ischia.
È rimasto con noi fino alla fine, a sottolineare un legame che non si è spezzato, un filo al contempo esile e forte, che lo ha legato per circa 15 anni alla nostra isola.
Nonostante le amarezze, le delusioni, le disubbidienze, le provocazioni, sopportate con pazienza, a volte con ironia, con disillusione mai ostentata, con rassegnazione, ma mai senza amarezza.
Era venuto a ” vivere con noi” ma non è mai stato un ischitano.
Veniva dalla Città nel senso proprio del contesto cittadino. Era un uomo solare, vivace, ma poco incline a governare. Soprattutto le divisioni e le liti di un’isola di provincia.
Ha amministrato un clero secolare -salvo rare eccezioni- fra i più indisciplinati delle piccole Diocesi del Sud Italia. Ma non ha mai usato il bacolo del comando.
Credeva ai segni. E sarà ricordato per essere stato testimone ed artefice della prima storica visita di un Vicario di Cristo nell’ Isola Verde.
Credeva nell’accoglienza. Si deve a lui il Centro di prima accoglienza Giovanni Paolo II di Forio inaugurato nel 2007.
Pochi sanno che ha destinato a quella struttura lasciti personali a lui intestati secondo le intenzioni.
È stato un uomo e un sacerdote legato all’essenziale.
Modesto nella vita privata. Stile francescano mai dichiarato. Il che lo rende più sincero.
Non era uno che dipendeva dalle opinioni altrui.Quelle volte in cui ho avuto la possibilità di ascoltarlo in confidenza, gli piaceva ripetere ” io ascolto sempre tutti, tanto poi alla fine faccio come dico io”.
Purtroppo non è bastato ad evitargli le amarezze di una Diocesi piccola eppure ingovernabile, che ha grandi esempi di devozione popolare e di attaccamento sincero dei fedeli alle tradizioni, ma anche tanti segni di contraddizione: divisioni, invidie, sprechi, povertà, emarginazione sfruttamento del lavoro, ipocrisie.
No. Non era mai stato un ischitano fino in fondo Padre Filippo come -sbagliando- amava farsi chiamare, a sottolineare l’affetto paterno che lo legava alle persone anzichè il senso di autorità che gli derivava dall’essere επισκοπος.
Non era ischitano il suo entusiasmo, il guardare oltre gli squarci azzurri del Cielo per le cose in cui credeva davvero, non era ischitano il non schierarsi, non era ischitano il senso dell’attesa.
L’attesa di tempi migliori, l’attesa come speranza, l’attesa del trapianto nella prima malattia, l’attesa dell’intervento, l’attesa della guarigione, gli anni di una febbrile attività.
Infine l’attesa del ritorno alla casa del Padre.
Come evento sereno di chi aveva scelto per motto episcopale”Confitebor tibi Domine”.
Allora buon viaggio Eccellenza!
Confidiamo con Lei nell’infinita misericordia di Dio, perché sia lieve il passaggio dall’Isola Verde alla Patria Celeste.
Noi pregheremo per Lei, perchè Ella è stata soprattutto un uomo buono

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