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Pino Rauti. Il segretario del MSI 

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Luciano Castaldi | Lo scorso 2 novembre ha concluso la sua giornata terrena Pino Rauti. Aveva 86 anni e se n’è andato con la dolcezza e la leggerezza dei nonni, circondato dall’affetto della sua famiglia e dei pochi amici che gli son rimasti fedeli fino alla fine. Rauti è un personaggio che ha segnato nel profondo la mia esperienza umana e politica. Agli inizi degli anni ’90 anche sull’isola d’Ischia era forte tra quei pochi giovani che si avvicinavano al MSI la dicotomia Rauti-Fini. Io e Gaetano Di Meglio scegliemmo di stare con il primo. Mi dispiace che le contestazioni a Fini (che un po’ mi hanno accesso il cuore: io sono sempre stato antifiniano!) e i tanti saluti romani intorno alla sua bara abbiano offuscato la grandezza di Rauti che – come hanno riconosciuto un po’ tutti, di tutti gli schieramenti- va ben oltre la storia del MSI di cui è stato fondatore e segretario nazionale.

Rispetto a tutti gli altri leader della destra, Rauti era molto diverso. Più che un leader politico è stato soprattutto un intellettuale, uno studioso, un uomo capace di guardare avanti, di delineare le “linee future”, di “andare oltre”. L’ho incontrato spesso e rimase sorpreso della mia giovane età: “Già consigliere comunale, bene, bene!”, mi disse visibilmente compiaciuto. A vent’anni ne ero innamorato. Mi piaceva come scriveva e parlava, persino come si muoveva… con quella schiena curvata da mille peripezie e sofferenze… e con gli occhi coperti da due fondi di bottiglia. Ovviamente, con il passare degli anni ho imparato, anche a criticarlo. Alcune sue idee non mi piacevano e facevano a cazzotti con la mia visione cristiana della vita e del mondo. Ma Pino Rauti mi ha insegnato a studiare la politica, a leggere, a documentarmi, ad abbandonare la retorica vuota e sterile per andare nell’attualità, spesso drammatica del nostro tempo. A guardare avanti, appunto. Perché, certo, Rauti sbagliava anche. Ma – come ha scritto Pierangelo Buttafuoco- nell’immediato. Non nelle visioni. “Non in quel cammino dove il tempo trasfigura il destino dei popoli”. Chi conosce la storia della destra italiana sa benissimo che egli era il contrario di quel che si può definire un “nostalgico”. È stato, per esempio, il primo in Italia (fine anni ’60) a parlare di temi epocali come l’ecologia, il terzo mondo, la crisi demografica, il crollo del comunismo, la necessità di tenere sempre ben legate politica e cultura. A lui si debbono quei “Campi Hobbit”, dove i giovani missini iniziarono finalmente a respirare aria nuova, a gettare al vento gli inutili orpelli del passato per discutere di comunitarismo, di letteratura, di musica. È qui, per esempio, che si inizia a diffondere (siamo negli anni’70) il mito del “Signore degli Anelli”, con Tolkien e tutto il resto… fino all’elaborazione delle tesi della Nuova Destra con Marco Tarchi. Rauti era un uomo coltissimo, forse troppo per fare politica politicante. Ma tant’è: senza di lui gli scaffali della mia libreria e io stesso saremmo stati diversi.

A riscattare la sua memoria, mentre avanzano le rovine e la coerenza è merce più unica che rara, valgono ancora “le mille volte, gli ultimi canti dei fedeli, belli perché inutili, sinceri perché senza speranza, nobili perché erano guidati già davanti ai plotoni di esecuzione da quelli che non erano voluti mancare all’estremo appuntamento, fissi nei suoi segni, “a sommo e ad imo!!”.

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