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Stop Demolizoni. La carica di 31 senatori 

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L’ultima mossa dei senatori del PDL Falanga, Aiello, Barani, Caliendo, Cardiello, Compagna, D’Anna, De Siano, Giuseppe Esposito, Fasano, Fazzone, Formigoni, Gentile, Gibiino, Giovanardi, Langella, Liuzzi, Eva Longo, Marinello, Giovanni Mauro, Milo, Mussolini, Pagano, Palma, Pelino, Razzi, Mariarosaria Rossi, Scilipoti, Sibilia, Viceconte e Villari è quella prevista con il disegno di Legge numero 580, 31 senatori hanno proposto le “Disposizioni per la razionalizzazione delle competenze in materia di demolizione dei manufatti abusivi”. Una legge che, in breve, dovrebbe traslare il potere ai prefetti.

Ma per capirne meglio portata, leggiamo insieme prima i 2 articoli della proposta di legge e poi la la relazione che li accompagna

IL DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.L’articolo 31, comma 9, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, è sostituito dal seguente: Per le opere abusive di cui al presente articolo il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all’articolo 44, dispone la trasmissione di copia della sentenza stessa al prefetto del luogo in cui il manufatto è stato realizzato affinché questi provveda, con le modalità di cui all’articolo 41, alla demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita, assicurando l’ordine pubblico.
Art. 2. 1. Nei casi in cui il giudice abbia già pronunciato ordine di demolizione e siano state attivate, a cura dell’ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente ai sensi dell’articolo 665 del codice di procedura penale, procedure esecutive dirette ad eseguirlo, il giudice dispone la trasmissione, entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, degli atti relativi alle suddette procedure al prefetto del luogo in cui è stato realizzato l’immobile.

LA RELAZIONE INTRODUTTIVA DELLE LEGGE

Onorevoli Senatori. — Non vi è dubbio che il tema della demolizione dei manufatti abusivi costituisce, in special modo nel sud, un argomento che tocca sensibilità particolari a causa della diffusione del fenomeno e della presenza di vaste aree in cui l’illegalità, certamente censurabile, ha fornito, in ogni caso, risposte immediate ad esigenze abitative, e quindi esistenziali, primarie che meritano considerazione.

A ciò deve aggiungersi la disgraziata scelta, operata da una giunta regionale, di discriminare, nell’accesso all’ultimo provvedimento di sanatoria edilizia disposto dal legislatore nazionale, proprio i cittadini campani ovvero quelli di una regione che, anche a causa di un andamento demografico ancora, fortunatamente, positivo, è caratterizzata da oggettive situazioni di tensione abitativa. Non deve sorprendere, dunque, che siano stati presentati, nella precedente come nell’attuale, ed appena cominciata, legislatura, diversi disegni di legge intesi a rimuovere, con esclusione delle operazioni edilizie di carattere speculativo, queste condizioni di discriminazione.

Un aspetto, tuttavia, non sufficientemente preso in considerazione è quello della necessità di razionalizzare, anche nell’ottica del più rigoroso rispetto del principio della separazione dei poteri, le procedure sanzionatorie degli illeciti urbanistici con particolare riferimento agli ordini di demolizione.

Come è noto, il sistema attuale della repressione degli illeciti urbanistici è disegnato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno del 2001 e successive modificazioni, che ha introdotto un testo unico contenente i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia. Il contrasto all’abusivismo edilizio risulta, alla luce delle norme del predetto testo unico, affidato, secondo una logica del doppio binario, sia all’autorità amministrativa che a quella giudiziaria che procedono, naturalmente, in forme e con modalità differenziate che seguono, rispettivamente, i principi del procedimento amministrativo e quelli della procedura penale.

Vi è, tuttavia, un momento di significativa interferenza tra le due azioni che è rappresentato proprio dall’ordine di demolizione adottato dal giudice con la sentenza di condanna ai sensi dell’articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n.380 del 2001, che recepisce, in questa parte, l’articolo 7 della legge n. 47 del 1985. Secondo l’orientamento ormai consolidato della Suprema Corte, tanto da poter essere pacificamente considerato come vero e proprio ius receptum, infatti, tale ordine ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio eccezionalmente attribuita alla concorrente competenza dell’autorità giudiziaria e non di pena accessoria. D’altra parte, proprio con riferimento alla natura amministrativa di tale ingiunzione, si sono affermati principi di maggior severità rispetto a quelli applicabili alle sanzioni penali.

Così, in particolare, è stata esclusa l’applicazione all’ordine di demolizione del manufatto abusivo della sospensione condizionale della pena in quanto essa è riservata solo alle pene; analogamente è stata affermata la sopravvivenza dell’ordine di abbattimento anche all’estinzione della pena per prescrizione o indulto. Nella stessa prospettiva, ancora, è stata sostenuta l’eseguibilità dell’ordine di demolizione anche nel caso di applicazione della pena su richiesta ed anche nell’ipotesi in cui, per effetto del decorso del termine di cui all’articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale devono ritenersi cessati tutti gli effetti penali della condanna. Non vi è dubbio, in conclusione, che l’affidamento di questo potere sostanzialmente amministrativo al giudice ha carattere eccezionale e di deroga ai principi fondamentali del riparto tra i poteri dello Stato. Resta, allora, da comprendere quali furono i motivi che spinsero il legislatore del 1985 a introdurre questa eccezione e se gli stessi siano ancora attuali e giustificati.

Il motivo sotteso a tale scelta deve, fuor dall’ipocrisia, individuarsi nella sfiducia, nella capacità e volontà dell’ente pubblico territoriale investito in via primaria dei compiti di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, cioè il Comune, di agire con la necessaria determinazione nella demolizione forzosa delle opere abusive.

E’ evidente, infatti, che in un ambito territoriale più circoscritto, inevitabilmente più forte è il condizionamento che può derivare, rispetto ad azioni oggettivamente impopolari e spesso avvertite come sproporzionate dai destinatari, dal collegamento immediato, tra cittadini elettori e amministrazione.

Nel tempo, tuttavia, il legislatore ha opportunamente predisposto forme di vigilanza e controllo, con poteri anche suppletivi, sull’osservanza dei doveri repressivi posti in capo agli uffici tecnici comunali ed al sindaco. Ed, infatti, l’articolo 40 del decreto del Presidente della Repubblica n.380 del 2001 prevede, al comma 1, che, in caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire o in contrasto con questo o con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, qualora il Comune non abbia provveduto entro i termini stabiliti, possa essere la regione a disporre la sospensione o la demolizione delle opere eseguite.

Ma, soprattutto, l’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica n.380 del 2001, così come sostituito con l’articolo 32, comma 49-ter, del decreto-legge 30 settembre 2003, n.269, convertito, con modificazioni, dalla legge n.326 del 24 novembre 2003, ha previsto che, entro il mese di dicembre di ogni anno, il dirigente o il responsabile del servizio, trasmetta al prefetto l’elenco delle opere non sanabili per il quale il responsabile dell’abuso non ha provveduto, nel termine previsto, alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi.

Analogo obbligo di informazione è previsto per le amministrazioni statali e regionali preposte alla tutela di beni sottoposti a vincoli statali o regionali. Il prefetto provvede sia all’acquisizione della proprietà dei beni e delle aree che alla demolizione con modalità operative che sono regolate dal comma 3 dell’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 con possibilità di avvalersi, per gli abbattimenti, sia di strutture operative dello Stato che di imprese private.

Ne consegue che è stato ormai definito un meccanismo sostitutivo che, assai opportunamente, ha concentrato nelle mani del prefetto, organo periferico dell’amministrazione centrale dello Stato, stabilmente incardinato nel personale dirigenziale dello Stato, il potere — dovere di procedere, nel caso di inosservanza spontanea del trasgressore, alle demolizioni, pur senza trascurare esigenze di ordine pubblico.

A tal fine ad esso confluiscono le fonti informative di tutte le amministrazioni potenzialmente coinvolte (Stato, regioni, comuni) con l’unica eccezione, allo stato attuale delle cose, di quelle rappresentate dalle sentenze di condanna del giudice penale. Tale eccezione, concepita in anni ormai lontani in cui alcun ruolo era attribuito, in questa materia, alle prefetture, risulta, alla luce delle considerazioni di cui sopra, non più giustificata.

A ciò si aggiunga che la Prefettura è, comunque, e pesantemente, coinvolta nell’attività di demolizione promossa dalla magistratura requirente per la necessità di assicurare, attraverso il coordinamento delle risorse umane e finanziarie, la cornice di sicurezza indispensabile a garantire, talvolta con grande difficoltà, l’effettivo abbattimento dei manufatti previo sgombero e sistemazione alternativa degli occupanti. Nè può essere trascurato che, sempre in termini di risorse, la gestione di tali procedure costituisce un onere non irrilevante per gli uffici di Procura che, come è noto, già non sono in grado di definire, nel rispetto del principio costituzionale della giusta durata sancito dall’articolo 111 della Costituzione, i procedimenti penali di loro competenza e presentano, proprio negli uffici per l’esecuzione delle Procure della Repubblica di maggiori dimensioni, situazioni di forte criticità.

E’ giunta l’ora, quindi, di porre fine a questo improprio concorso di competenze riportando il sistema alla sua coerenza e riconducendo tutti gli interventi all’ambito, più pertinente e corretto, dell’azione amministrativa in senso proprio, condotta, cioè, da organi amministrativi nelle forme del procedimento amministrativo.

Per le procedure in corso, in ossequio al principio fondamentale del tempus regit actum e nel rispetto di autorevoli precedenti come, ad esempio, quello registrato in occasione del trasferimento di competenze dal giudice penale alla prefettura per effetto di depenalizzazioni (decreto legislativo 30 dicembre 1999 n. 507), è stata prevista, con la norma dell’articolo 2 del presente disegno di legge, l’immediata operatività delle nuove competenze prefettizie.”

 

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