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Unità d’Italia. Il Sangue del Sud. Antistoria del risorgimento e del brigantaggio 

banda basile

VC | I Briganti non erano incolti, incivili, analfabeti. I Briganti erano patrioti ribelli. Contadini esasperati dallo sfruttamento dei latifondisti che nel sud pretendevano di dominare la scena sociale. L’Unità d’Italia è stato essenzialmente un patto scellerato tra i latifondisti del sud e l’”intellighenzia” piemontese-lombarda. E quella che venne combattuta nel primo decennio della nostra nazione fu la prima, vera guerra civile italiana.

Questi in sintesi i temi de “Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio”, (Mondadori, 300 pp., euro 20) del senese Giordano Bruno Guerri, storico anticonformista, da sempre interessato alla verità “altra” della Storia. Egli subito ci informa che è impossibile stendere una vera e documentata storia del brigantaggio, perché la maggior parte della documentazione è stata distrutta o censurata. Celebrare l’Unità significa anche cercare i materiali nascosti, dimenticati, delle nostre famiglie in cui si celano storie profonde di amore per la propria terra. E l’attaccamento profondo e viscerale per la propria terra ha spinto circa ottantamila persone, divise in più di quattrocento bande a difendere il loro Regno dagli abusi e dalle violenze dei soldati sabaudi.

La storia del nostro Risorgimento è influenzata e inquinata da una retorica che ha costruito, nell’immaginario dei cittadini italiani, un passato leggendario fondato sull’eroismo e sul martirio d’una minoranza di combattenti che credevano nel Bene. Quel Bene era la fondazione dell’Italia. Le cose non stanno proprio così, e non ha senso raccontarsi favole. Serve, secondo l’autore, una «profonda opera di revisione storiografica». Perché s’è trattato d’una guerra civile: e perché a raccontarla, come sempre, è stato il vincitore. Un vincitore che non ha concesso neanche “l’onore delle armi” ai vinti, riducendo i suoi massacri alla stregua di semplici operazioni di polizia. Guerri vuole che il Risorgimento sia recuperato per intero, nel bene e nel male. Perché è dall’Unità in avanti che questo ha saputo diventare un grande Paese. E cercare la verità a proposito di quanto è accaduto non può macchiare l’orgoglio della nascita di una nazione.

Citiamo: “Una parte del nuovo Stato era già «italiana», l’altra non lo era affatto. Occorreva dunque educarla a essere diversa da sé, a costo di snaturarla. Ai primi segni di insofferenza del Sud, nacque subito una contrapposizione rancorosa: «noi» contro «loro». «Noi», i civilizzatori; «loro», i brutali indigeni. «Noi», i portatori di giustizia e legalità; «loro», i briganti.” E anche, “Al Sud c’erano banditi veri, criminali comuni, prima, durante e dopo l’Unità. A questi delinquenti vennero equiparati i «briganti», come vennero chiamati i meridionali in lotta per scacciare gli «stranieri» che sbandieravano una fratellanza forzata; dall’altra parte non c’erano parenti, affini, connazionali, bensì un popolo nemico, un invasore brutale e arrogante, venuto da lontano. Nessuna solidarietà, nessuna vicinanza, né culturale, né umana, né politica: i briganti non si sentivano «italiani». I nemici erano usurpatori, colonizzatori arrivati per conquistarli e per cancellare la loro storia, i costumi, i legami e le appartenenze. Due mondi erano in conflitto tra loro.”

Il brigantaggio non ha mai avuto nessuna attinenza con la Camorra, è un fenomeno di “Resistenza”, indipendente e fortemente partigiano. Infatti la parola stessa “brigante” che deriva dal francese, oggi la potremmo tradurre con le parole “guerrigliero”, “partigiano”, o anche “terrorista”. Il Brigantaggio al Sud, a differenza di quello soprattutto tosco-emiliano, che pure era famoso, era organizzato, perseguiva gli stessi obiettivi ovunque e si fondava sulla capacità e il carisma di alcuni leader, non sempre di sesso maschile.

E’ un libro questo di Guerri che racconta storie, persone, luoghi. Alcuni briganti spiccano per doti – umane e di comando – non comuni, come Carmine Crocco, che per tre anni tenne in scacco l’esercito italiano; e così le brigantesse, donne disposte a tutto per amore e ribellione, partigiane ante litteram, antesignane di un femminismo istintivo e rabbioso, ribelli stanche di essere confinate – da sempre – al letto, al focolare e ai figli. Un esercito di nomi e di storie senza volto, un’escrescenza della storia, per decenni considerata ingiustamente marginale; o il brigante Cosimo Giordano della brigata “Fra Diavolo” che occupò il paese di Casalduni, nel Beneventano, e vi issò la bandiera borbonica. Casalduni e il paese limitrofo Pontelandolfo furono teatro prima dell’uccisione di quaranta soldati sabaudi da parte dei briganti, poi del massacro che distrusse completamente le due città e la “fucilazione di tutti gli abitanti dei due paesi all’infuori di donne, bambini e infermi”. Rumiz, su La Repubblica, in agosto, scriveva: «Quattrocento per quaranta. Dieci uccisi per ogni soldato, come alle Fosse Ardeatine. Oggi a Pontelandolfo c’è solo un monumentino con tredici nomi e una lapide in memoria di Concetta Biondi, violentata e uccisa dai soldati. Mancano centinaia di nomi, scritti solo nei registri parrocchiali. Il sindaco: “A marzo siamo stati finalmente riconosciuti come “luogo della memoria”. Ma non ci basta: vogliamo essere “città martire” e che questo nome sia scritto sulla segnaletica. Vogliamo che l’esercito riconosca la sua ferocia». Era una guerra dunque. Questa guerra venne combattuta con una legge, la Legge Pica dell’agosto 1863, con cui il governo italiano – sacrosanto ricordarlo – «impose lo stato d’assedio, annullò le garanzie costituzionali, trasferì il potere ai tribunali militari, adottò la norma della fucilazione e dei lavori forzati, organizzò squadre di volontari che agivano senza controllo, chiuse gli occhi su arbitrii, abusi, crimini, massacri». Caddero, secondo le cifre che Guerri considera più attendibili, addirittura attorno alle centomila persone tra i meridionali, complici i caduti per stenti, prigionia, disperazione, suicidio. Morale della favola? «Oggi, non si può più tacere che quella conquista comportò episodi da sterminio di massa».

Fu una guerra e fu un’annessione. Tutti si ricordano una frase di Massimo d’Azeglio: «Si è fatta l’Italia, ma non si fanno gli italiani». Nessuno ricorda cosa pensava davvero l’intellettuale piemontese: «La fusione coi napoletani mi fa paura; è come mettersi a letto con un vaiuoloso». Questa nostra amnesia racconta molto del nostro desiderio di mantenere un approccio costruttivo ed edificante, solare e dialettico, per arginare e risolvere i contrasti tra le due metà del Paese. Guerri tiene a puntualizzare che diversi tra i principali padri della patria, come Gioberti, Rosmini, d’Azeglio, Cavour, pensavano a un Regno d’Italia ben diverso, limitato a Piemonte, Lombardia, Veneto e ducati emiliani: «in pratica quella che oggi viene chiamata Padania», chiosa lo storico, ribadendo che si trattava delle regioni più piemontesi o “piemontesizzabili”. L’errore di piemontesizzare il Regno delle Due Sicilie ha determinato un secolo e mezzo di incomprensioni, risentimenti, invidie, vittimismi e gelosie.

Limpide sono le parole del deputato Francesco Saverio Nitti “Per le plebi meridionali il brigante fu assai spesso il vendicatore e il benefattore: qualche volta fu la giustizia stessa. Le rivolte dei briganti, coscienti o incoscienti, nel maggior numero dei casi ebbero il carattere di vere e selvagge rivolte proletarie. Ciò spiega quello che ad altri e a me e accaduto tante volte di constatare; il popolo delle campagne meridionali non conosce assai spesso nemmeno i nomi dei fondatori dell’unità italiana, ma ricorda con ammirazione i nomi dell’abate Cesare e di Angelo Duca e dei loro più recenti imitatori.”

La storia del nostro brigantaggio trova attinenze con la Guerra di Secessione Americana, con l’istinto di ribellione partito dal basso della Rivoluzione Francese, con i sogni di restaurazione che in tante frange del meridione d’Italia non si sono mai sopite. Anche questa è Storia, Giordano Bruno Guerri ce lo ricorda. Il sangue dei vinti non ha un altro colore, Guerri, quantomeno riconsegna a un’Italia spesso nascosta in celebrazioni di facciata, una parte della sua Storia che non si può dimenticare, e riconosce rispetto a chi è morto dalla parte sbagliata.

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